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Grandi scuole per piccole imprese: Intervista a Jerome Bonnet

Francese di nascita e formazione, si è infatti laureato in economia e commercio alla HEC “Grande Ecole” di Parigi, Jerome Bonnet è in Italia dal 1996, per un programma di scambio universitario con la Bocconi. E qui si è fermato, con una parentesi londinese per il master alla London Business School,

Bonnet, trentasei anni, è dallo scorso marzo direttore generale di Natixis Pramex International italiana, la divisione di consulenza della banca francese. La sua esperienza di scouting e monitoraggio delle PMI italiane parte nel 1996 quando entra in AFII Invest In France Agency, in cui rimane fino al 2003. Per i primi anni ha incarichi da project manager per le PMI e, negli ultimi tre anni di permanenza, diventa direttore della sede italiana.

Nella sua esperienza con la PMI, che idea se ne è fatto?

Mi viene spontaneo il paragone con le PMI francesi che, secondo me, sono molto indietro rispetto a quelle italiane.

Già quando ero relatore per i corsi sui distretti industriali dell’IHEE (Institut des Haute Etudes de l’Entreprise), che visitavo con le delegazioni di manager, parlamentari, sindacalisti e rappresentanti religiosi, mi sono sempre meravigliato dell’alto livello di cultura manageriale, “classe” e lungimiranza dei piccoli imprenditori italiani rispetti ai loro colleghi francesi. Il francese è più chiuso, contadino ed ha maggiori aspettative verso le istituzioni che, in effetti, lo viziano.

E’ evidente che la ragione risiede nel diverso tessuto industriale delle due nazioni: in Italia la PMI rappresenta l’ossatura del sistema economico che, al contrario, in Francia è sorretto dalla grande impresa.

Ha studiato a Parigi e, nel biennio 2004-2005, ha fatto l’MBA a Londra: il master ha dato un’accelerata alla sua carriera?

Sorprendentemente, no. Lavoro per un gruppo francese ed il mio “marchio” HEC è prevalso sull’MBA. Per ora il master è stato un grande lusso, che ha sensibilmente alzato il mio grado di conoscenza di management e gestione aziendale.

Si è trattato comunque di un complemento necessario per lo sviluppo di carriera. Infatti ho iniziato nel pubblico e se non avessi aggiunto il tassello dell’MBA, il passaggio nel privato sarebbe stato più complicato.

Consulenza e m&a per PMI: molti dicono che, siccome lo sforzo è lo stesso per grandi e piccole operazioni, tanto vale stare sui grandi. E’ vero?

Secondo me lo sforzo è doppio perché non si tratta di giocare a Barbarians at the Gate, ma, prima di tutto, di cercare l’azienda giusta e l’imprenditore giusto che vorrà essere inglobato da un’altra piccola società per fare sinergie e creare nuove ricchezze.

Non è semplicemente un leverage, c’è una componente umana importante da gestire. Molti piccoli imprenditori non vogliono che la loro azienda venga valutata solo sulla base di dati di bilancio. Tra gli economics includono anche componenti tipo gli anni di sacrificio, loro e della famiglia. Elementi che la controparte non sa misurare. Lì interveniamo noi, con un approccio che sconfina nella psicologia. Si tratta di un lavoro non facile, intanto perché si negozia su basi difficilmente quantificabili, in secondo luogo perché l’italiano difficilmente assume una posizione definitiva. Si lascia sempre delle opzioni, non chiude mai le porte.

Qual è il vostro principale concorrente? Il commercialista di fiducia?

Ci definiamo il braccio destro del CFO francese nella gestione della filiale italiana. Siamo la sua ombra, ma anche il suo punto di appoggio per anticipare ogni problema nell’amministrare una società di un paese che non conosce. Teoricamente i nostri concorrenti sono i commercialisti, ma gli studi piccoli non hanno esperienza di gestione di aziende possedute da soci esteri e quelli grandi non hanno la componente relazionale necessaria per gestire delle PMI.

Infine, i miei clienti sono le aziende francesi e la mia forza vendita è in Francia.

Tra i paesi in cui ha lavorato qual è secondo lei il migliore per fare carriera? E quello migliore per la formazione?

Il migliore per fare carriera à senza dubbio l’UK. Tra Francia e Italia, non saprei, io ho sempre lavorato in Italia, ma per la Francia, quindi ho beneficiato degli aspetti positivi di tutti i due i paesi.

Certo è che in Francia, quando esci dall’università o, meglio, dalle Grandes Ecoles, sei subito assunto come quadro, in Italia non mi sembra che accada cosi in fretta. Un giovane deve fare comunque la gavetta. Nell’università francese sei obbligato a fare un anno di stage in azienda a metà percorso. Così i neo laureati sono operativi subito.

Quello che mi colpisce molto in Italia è quel senso di disagio spesso manifestato nei confronti dell’impiego. L’espressione: “lavorare sotto padrone”, detta con questo tono di raccapriccio, proprio non la capisco.

Come è arrivato a Milano?

Ci sono arrivato per uno scambio universitario in Bocconi e mi sono innamorato.

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