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Un nuovo ordine per l’economia mondiale? Pil non significa benessere.

Tecnologia, globalizzazione e recessione si sono combinate per mostrarci come le cattive prassi nel business abbiano effetti a cascata che influenzano pesantemente noi tutti ed il mondo in cui viviamo.

Le aziende sono diventati responsabili di molti mali del pianeta: il riscaldamento globale, la fame e la povertà. Per i leader mondiali che stanno rientrando ad una normalità di gestione, Andrew Simms e David Boyle hanno scritto un libro che incoraggia a pensare in maniera diversa. The New Economics: A Bigger Picture è la ricerca di un modello di business più verde e sostenibile, dove le risposte giuste si trovano nei posti più impensati.

Andrew Simms è stato a capo della sezione energia e clima della New Economics Foundation. E’ autore di diverse pbblicazioni sullo sviluppo e sull’ambiente, tra cui Ecological Debt: Global Warming and the Wealth of Nations. Ha studiato alla London School of Economics e ha lavorato per diverse organizzazioni internazionali. Siede nel board di Greenpeace UK.

David Boyle lavora con la New Economics Foundation dal 1987, scrivendo e sviluppando nuovi progetti. Ha lanciato il movimento della banca del tempo e collabora a ricerche sul localismo ed il futuro del servizio pubblico.

Con un punto di vista che parte dalla Freakonomics, l’osservazione dei fatti più singolari, gli autori hanno raccolto dati statistici con un potenziale di risonanza che travalica la semplice curiosità.

Si prendano le cifre del commercio estero. Spesso l’Inghilterra bilancia importazioni ed esportazioni di prodotti simili, ad esempio a causa della domanda di frutta fuori stagione. Ma ciò non spiega come mai il paese importi 5.000 tonnellate di carta igienica dalla Germania e ne restituisca 4.000. Aerei, navi e camion si incrociano di continuo, trasportando la stessa merce in direzioni opposte. Come nel caso dei gelati, che UK e Italia si scambiano in pari quantità.

In assenza di deterrenti, nessuno calcola il costo ambientale di questi trasporti; la catena alimentare è così estremamente vulnerabile alle fluttuazioni del prezzo del petrolio. In futuro, un picco nel prezzo del combustibile o fattori climatici, potrebbero lasciare vuoti i supermercati di qualunque nazione sviluppata. Forse serve un modello più resiliente, basato sulla cooperazione internazionale piuttosto che sulla competizione.

Le isole del Pacifico di Vanuatu hanno un inno nazionale che recita “Noi, noi siamo felici”, ma non è stata certo questa strofa a spingere la nazione in cima alle classifiche di impatto ambientale, aspettativa di vita e soddisfazione.

Vanuatu ha un impatto ecologico minuscolo ed un’aspettativa di vita molto alta; le isole che la compongono parlano più di 100 lingue ma si sono organizzate. L’economia è essenzialmente costituita da piccola agricoltura che nutre due terzi della popolazione. E’ l’antitesi della globalizzazione economica; né materialistica né competitiva, ma piuttosto cooperativa ed efficientista.

Perché i meccanici cubani sono i migliori del mondo?

A causa dell’embargo USA, Cuba ha dovuto arrangiarsi senza combustibili fossili; tuttavia, è opinione diffusa che i meccanici cubani siano insuperabili: è grazie a loro che auto, pulmann e camion hanno ampiamente superato chilometraggi da rottamazione.

I cubani sono stati obbligati a costruire l’unica economia possibile per loro, date le circostanze: più basata sul riciclo e sulla riparazione che sul consumismo. In questo modo hanno sviluppato delle abilità più in linea con un’economia sostenibile. A corto della pessima benzina sovietica, la popolazione ha dovuto orientarsi al combutibile organico ed all’agricoltura urbana.

Perché lavoriamo più di un contadino medievale?

Nei secoli bui un contadino lavorava 150 giorni all’anno per sfamare la sua famiglia; oggi la maggior parte di noi lavora 225 giorni all’anno. Gli ingranaggi della crescita economica ci hanno resi ricchi ma infelici. E grazie alla tecnologia non smettiamo mai di lavorare.

Le piccole comunità si sfaldano man mano che le microaziende sono rimpiazzate da multinazionali senza volto; incatenati al posto di lavoro, siamo trascinati in una spirale distruttiva di debito e consumi.

Lavorare meno, come i nostri antenati medievali, potrebbe essere la soluzione.

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