Una carriera dalle scelte fortunate quella di Alberto Crippa: nelle radio private al momento dell’esplosione del nuovo mezzo, passa poi alla discografia a metà degli anni ’80, quelli del boom. Il Boss, i Rolling Stones, Santana sono, per citarne alcuni, i musicisti con cui ha a che fare da marketing director in CBS/Sony Music. Arriva alla Walt Disney nel ’90, anno in cui l’uscita del film animato “La Sirenetta” segna il grande rilancio del colosso dei cartoni, e la sua permanenza in azienda per tutti gli anni Novanta coincide con il periodo definito Il grande rinascimento disneyano. Infine la Ferrari. “Ho firmato il contratto di venerdì e la domenica successiva la Ferrari ha vinto, dopo 21 anni, il titolo. Sono sicuramente fortunato”. Crippa, classe ‘57, dal 2000 è general manager di Ferrari Idea, dove ha la responsabilità mondiale del marchio: dal licensing al retail.
Non è difficile il passaggio dalla multinazionale, ad un’azienda così legata alla personalità del suo imprenditore?
Nella multinazionale se sei in ambito locale rischi di diventare un distributore, dal centro fanno fatica a capire le necessità periferiche, al di là delle politiche “glocal” dichiarate. Sentivo sempre più la necessità di lavorare a contatto diretto con il cuore dell’azienda, stare vicino ad una forte personalità e condividerne le scelte. Riporto al presidente Montezemolo e in questo vedo solo vantaggi, in particolare la velocità del momento decisionale. Inoltre nella mia ventennale esperienza nella multinazionale mi mancava la responsabilità della strategia di marca a livello globale, avevo definito le strategie regionali e locali (in Disney è uscito da VP licensing, sales & marketing consumer products in Europa, Europa orientale, mercati emergenti e Sud Africa e VP b2b nei paesi G7 – n.d.r.). Volevo cimentarmi con un marchio globale e volevo lavorare in un contesto più italiano.
Cioè?
Per attuare le strategie globali gli americani sono costretti a trovare un bilanciamento eliminando gli estremi. E’ evidente che economicamente è necessario lavorare con dei compromessi, quando ti rivolgi ai differenti mercati locali, ma il rischio che si corre è anche quello di cadere nella mediocrità.
In Disney ha seguito il suo ex capo della CBS Pierre Sissman per creare la divisione discografica, poi è passato, nel ’94 al licensing, ora è un esperto…
No, ecco, questa è una definizione che ritengo restrittiva.
Perché?
Quello che cerco, nelle mie scelte di carriera, è di lavorare con una forte marca e con forti contenuti da fare esplodere e sviluppare. Mi piace definirmi un bravo manager nella gestione dei contenuti, che questi siano un marchio, un cartoon o un artista.
Com’è la gestione degli artisti?
Difficilissima, perché hai a che fare con un prodotto pensante. Il vero talento sa benissimo come posizionarsi e sa cosa deve essere fatto, per cui devi mettergli a disposizione i tuoi asset e non sovrastarlo. Sono gli artisti a determinare i trend, non le aziende, che devono piuttosto dare il supporto finanziario e distributivo.
In un mercato difficile e molto affollato devi anche essere intuitivo. Diventa fondamentale la capacità dei manager di individuare il talento e di capire come evolverà il gusto, captando tutti i segnali (come è stato ad esempio nel caso dei rapper).
Cosa le ha lasciato l’esperienza di quasi 10 anni nelle radio private all’inizio della sua carriera?
La radio è un mezzo caldo e, soprattutto a quei tempi, avevi un feed back immediato dal pubblico e la capacità di anticipare i trend, individuando i pezzi e gli artisti.
Sotto il profilo imprenditoriale è stata un’esperienza unica, le radio erano alla loro nascita e bisognava costruire tutto, dalla scaletta (seguivamo il modello anglosassone, sintonizzandoci di notte), al modello di business, alla trasmissione vera e propria sul territorio, alla vendita pubblicitaria (non avendo idea di come ripartire le risorse), alla costruzione della forza vendita.
E in Ferrari?
Sono entrato in una divisione che gestiva il licensing cambiandone l’approccio strategico e la struttura organizzativa. Una vera start up: la sede era a Lugano e abbiamo ripreso a Maranello da zero.
Gli obiettivi erano un nuovo approccio nella strategia do licensing e l’avvio del progetto di retail con l’apertura di una serie di negozi monomarca.
Lei ha un team di 20 persone. Come sceglie i collaboratori?
E’ prioritaria una forte conoscenza del business con la capacità di lavorare in team.
I fattori chiave di successo nel suo ruolo?
Capacità di innovazione, massima attenzione nella gestione del marchio e creazione di un team di livello.
E’ fondamentale conoscere la storia del marchio approfonditamente per mantenere l’integrità dei suoi valori fondamentali. Inoltre, il mondo del licensing è complicato perché non si copre un solo settore ma ci si confronta con monti mercati in alcuni casi molto distanti come logica e tutti con dinamiche diverse. Serve un management con una visione globale e manager specializzati per i singoli mercati. Io avuto la fortuna di avere come palestra di licensing la Disney, acquisendo forti competenze nell’area dello scouting, negoziazione, gestione contrattualistica e approccio di segmentazione per paesi e canali.
Com’è vendere il cavallino rampante?
E’ un marchio strepitoso, gestito benissimo negli anni ’90, che ha un’appeal incredibile. Mi ha stupito, quando sono arrivato in Ferrari, scoprire la forza del marchio. E’ quasi una religione. Sono entrato in un mondo con un livello di passione che non incontravo dai tempi della discografia.