Silvestre Bertolini, attuale european managing director e amministratore delegato di GfK, palermitano votato all’internazionalità, ha iniziato nel 1980 in Alivar ad occuparsi di marketing e strategie di prodotto, seguendo i marchi Bertolli e De Rica. Nel 1983 entra in M.I.D., società distributrice tra gli altri del vino Regareali, e lì affianca all’esperienza di marketing operativo anche quella sul mercato. Poi sei anni nel marketing della Fratelli Branca Distillerie, negli anni, dal 1985 al 1991, in cui l’azienda inizia a godere degli effetti del passaggio da una gestione interamente famigliare ad una manageriale. Il grande salto avviene nel ’91, con il passaggio in GfK, multinazionale delle ricerche di mercato, realtà che all’epoca contava 18 dipendenti per un fatturato di 1,5 miliardi di lire. Dopo 10 anni in Italia il gruppo fa più di 26 milioni di euro di fatturato con oltre 220 dipendenti.
GfK, più di dieci anni fa, è stata la sua prima esperienza multinazionale?
In realtà prima di GfK ho avuto una brevissima esperienza in Manetti & Roberts, della durata di meno di un anno. Anche la Fratelli Branca Distillerie, pur non avendo una struttura organizzativa da multinazionale, operava come una società internazionale: avevamo delle filiali estere, stabilimenti di produzione in diverse parti d’Europa e degli Stati Uniti e Sud America, per cui c’erano dei coordinamenti commerciali e di marketing a livello internazionale. Tuttavia sono d’accordo nel dire che la prima vera esperienza internazionale è iniziata in GfK.
Come ha vissuto questo passaggio?
Le aspettative sul contesto internazionale di GfK sono state rispettate. Abbiamo dei comitati internazionali e riportiamo al presidente sulle nostre responsabilità dirette. Esiste nel gruppo uno scambio di cultura manageriale e di esperienze diverse.
Io, per esempio, sono responsabile della individuazione dei talenti per tutta la holding, ogni anno variamo un programma di formazione manageriale: “Executive Program” per i manager di medio-alto livello, profili di spicco per il futuro dell’azienda. Possiamo venire a contatto con colleghi asiatici che chiamiamo a lavorare in Europa o, viceversa, mandiamo colleghi europei a gestire attività e risorse in paesi oltreoceano, in America piuttosto che in Sud Africa o nei paesi asiatici.
Quanto conta nel suo settore la presenza multinazionale?
Ancora di più oggi rispetto a qualche anno fa. Il successo di una società di ricerche come la nostra è determinato fondamentalmente dalla capacità di dare al cliente, e per cliente si intende il cliente multinazionale, una visione globale degli andamenti di mercato e avere una comparazione uniforme non soltanto sul paese di riferimento ma su tutte le countries dove opera la capogruppo.
C’è anche un altro vantaggio: le metodologie e le procedure di ricerca sono unificate, noi per esempio abbiamo un solo centro di elaborazione che serve in tutto il mondo, ci sono dei grandi vantaggi in termini di coordinamento di delivery del dato.
Come e quanto lavorano le società di ricerca come la sua nei momenti di flessione del mercato?
Ecco una domanda che mi pongo già da molto tempo: quando lavorano di più le società di ricerca? Quando i mercati stanno “tirando” e c’è più ricchezza oppure quando i mercati sono in contrazione e le industrie vogliono capire di più cosa sta succedendo? La risposta, secondo la mia esperienza, è che lavorano in tutti e due i casi, dipende dalla mentalità e dalla cultura dell’azienda. Ci sono aziende che in momenti di crisi del mercato investono di più in ricerca per capire cosa sta succedendo e per ritagliarsi delle fette di mercato in crescita. Nel contempo ci sono aziende che in momenti di grande espansione fanno un ragionamento inverso pensando che non sia necessario investire in ricerca, visti i buoni risultati.
Se fosse lei un’azienda quale atteggiamento sceglierebbe?
La mia visione dell’investimento in ricerca è sempre stata di grande stabilità. In momenti di crisi c’era la necessità di capire quali potevano essere le alternative, le differenziazioni: in questi casi non diminuivo il budget di ricerca ma spostavo l’attività di ricerca sull’individuazione di nuove aree e di nuovi mercati.
Cos’è cambiato negli ultimi anni nel vostro mercato?
E’ aumentata la periodicità: il cliente oggi ha la necessità di un’informazione più tempestiva e più frequente. Se prima davamo l’informazione ogni due mesi o ogni quattro mesi, oggi la diamo mensilmente, anzi per alcuni mercati con grande rotazione di prodotto, tipo quello della telefonia o dell’Ict, settimanalmente.
Per il suo settore quali sono i trend occupazionali e quali sono le professionalità che fa più fatica a ritrovare?
La nostra strategia è quella di acquisire neolaureati e di formarli all’interno dell’azienda con dei programmi molto intensi che prevedono sia il training on the job sia training strutturati interni ed esterni. Il nostro è un settore particolare: abbiamo necessità di avere degli uomini di marketing ma nello stesso tempo degli analisti, degli statistici, degli uomini di vendita e avere una figura manageriale così complessa sul mercato con un’età alla soglia dei 30 anni è quasi impossibile.
Fino al ’91 lei ha lavorato nel marketing di diverse società, ma come è arrivato a decidere il salto dall’altra parte della barricata?
Fondamentalmente due sono stati gli elementi che mi hanno fatto decidere. Il primo è che dopo 15 anni di industria sentivo l’esigenza di un cambiamento. Erano i primi anni ’90, c’era il boom dei servizi e del terziario avanzato ed entrare in una società multinazionale in questo settore mi stimolava molto.
In secondo luogo pensavo di potere dare molto ad una società di ricerca che aveva grandi ambizioni, con la visione da manager del mondo dell’industria
Come è stata l’esperienza in Fratelli Branca?
Nell’85, quando è iniziata la mia esperienza in Branca, l’azienda era già strutturata con un’organizzazione manageriale, ma in un contesto societario con una forte tradizione e una identificazione totale tra nome della società e nome della famiglia. 150 anni di storia non si possono trasformare con un paio d’anni di conduzione manageriale. Devo dire che la nuova cultura si è integrata bene con la cultura imprenditoriale, anche un po’ progressista, della famiglia Branca, che vedeva nei manager l’elemento di svolta e di modernizzazione dell’azienda. Abbiamo portato avanti quelle che erano già delle idee marketing oriented dell’imprenditore.
Cosa ricorda della sua esperienza in MID, nella divisione vini?
E’ stata una delle mie poche esperienze nel mondo delle vendite. MID distribuiva a livello esclusivo il vino Regaleali delle cantine Tasca d’Almerita, grande concorrente di Corvo nel mondo. E’ stata una bellissima esperienza perché sono venuto a contatto con problematiche legate all’organizzazione di una rete di vendita, alla strutturazione, alla capacità di potere vendere in maniera innovativa. In quell’epoca sono anche stato contattato dalla Anheuser-Busch, multinazionale delle birre americana produttrice della Bud, che ci aveva chiesto lo studio di un piano di marketing dettagliato per l’introduzione del loro prodotto sul mercato italiano. Il progetto poi si è fermato, ma il momento lo ricordo con piacere e con una punta di orgoglio.