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Nicola Baroni: ritorno alle origini

L’MBA lo ha avviato ad una carriera che passa dalla consulenza in Valdani Vicari & Associati nel 1993 e The Herald Group nel 1997, alla direzione commerciale e marketing in grandi realtà aziendali italiane come Merloni e Bocchiotti. Dopo la direzione generale della filiale italiana di Unoaerre, Nicola Baroni torna a mettere a frutto la sua decennale esperienza in A.T. Kearney per un progetto di consulenza più avanzato. “Quello che vogliamo fare è spostare il focus del consulente sulla realizzazione, non limitarci ad indicare le linee-guida”.

Che valore ha avuto il master nel suo sviluppo di carriera?

Il master ti dà la capacità di interpretare l’azienda come un insieme integrato di effetti causali. Tutto ciò che è realizzato in un’area funzionale provoca conseguenze nel resto della società. Il primo valore aggiunto che un master fornisce, in termini di pure capacità professionali, è quindi di percepire la visione globale di una specifica realtà. L’MBA Bocconi, inoltre, mi ha dato visibilità sul mercato, soprattutto nei confronti delle aziende italiane meno abituate a un management formato accademicamente e mi ha consentito una crescita professionale veloce.

L’ingresso in una società di consulenza come Valdani Vicari & Associati, è stata una conseguenza del master?

La collaborazione addirittura è partita durante il master. Si sono identificate delle affinità elettive tra me e i titolari della società che, tra l’altro, erano due docenti dell’MBA.

Come è vissuta la figura del consulente di marketing nelle aziende?

Ancora oggi quella del consulente, in particolare di marketing, è una figura troppo astratta, separata dalla realtà aziendale. Il consulente si ferma al consiglio o alla definizione di una metodologia, invece è necessaria un’azione efficace che incida nella sostanza del problema. E’ inserimento all’interno dell’azienda in maniera più integrata e permanente o addirittura, secondo me, il passaggio alla cogestione.

E quali sono gli ostacoli?

La diffidenza del management ad accettare, e quindi implementare, proposte che derivino dall’esterno da personaggi che si suppone non siano sufficientemente in grado di comprendere quello specifico business. Ma la colpa non è del management o delle aziende, è del consulente.

E qual è la sua esperienza in merito?

Il consulente deve sporcarsi le mani molto più di quanto faccia abitualmente. Mentre dall’altro lato il management deve avere l’onestà intellettuale di recepire ciò che alla fine è obiettivamente giustificato da dimostrazioni numeriche.

Come giudica l’inserimento di figure di alto profilo in realtà imprenditoriali locali?

Merloni è una realtà multinazionale con una cultura aziendale ancora abbastanza “familiare”, il che non è un’accezione negativa perché è qui che si basano i principi fondatori del successo dell’azienda. Io ci sono entrato come MBA proprio per favorire la diffusione del know how manageriale in maniera soft. E’ stato un episodio interessante. Le esperienze di altri colleghi hanno dato esiti in alcuni casi disastrosi. Quando si parla di realtà imprenditoriali, talvolta si pensa a realtà dove esiste un proprietario che tende a perpetuare i modelli che lo hanno portato al successo dando poca soddisfazione a chi gli porta la dimostrazione dell’opportunità di altri interventi e cambiamenti. In questo caso nascono spesso degli scontri.

Si è mai trovato in una situazione come questa?

No. Anche quando ho lavorato in Bocchiotti ho trovato un’azienda gestita molto bene dal figlio dei fondatori. Qui non avevo molto da insegnare, sono stato a fianco di un personaggio con una notevole cultura manageriale, anche lui aveva fatto un MBA e coltivava la ricerca di un’ottimizzazione dei processi e delle strutture.

Come mai nel 1997 il passaggio in The Herald Group?

Pensavo fosse giusto, dopo gli anni di Merloni, dare un’occhiata a ciò che succedeva in aziende di diversi settori: dai servizi all’abbigliamento casual, dal bancario alle macchine movimento terra o alle multinazionali dell’entertainment. Qui si gestivano attività di marketing operativo, pubblicità, promozioni, PR e direct marketing. Ho vissuto questo periodo come esperienza formativa: ho visto piani marketing, attività commerciali e impostazioni di tipo strategico e operativo di 40/50 aziende di primario livello. Un’occasione abbastanza unica.

Cosa ha imparato?

Che purtroppo anche nell’area marketing, dove ci si immagina una particolare apertura, in realtà si tende a fare nel settore ciò che è tipico di quel settore. Invece conviene portare modelli e comportamenti che vengono anche da aree radicalmente diverse.

Nella sua carriera ha toccato tutti gli aspetti della direzione commerciale e del marketing. Ha qualche suggerimento per chi svolge queste attività?

Ho scoperto che non esistono azioni commerciali o di marketing efficaci laddove queste due funzioni siano separate. La responsabilità, la pianificazione e il controllo di gestione delle due attività, a mio avviso, devono essere integrate e gestite dalla stessa testa, o comunque da due persone che procedono all’unisono. Diversamente si rischia di vivere in maniera improduttiva i rapporti, con diffidenza.

Cosa le piace delle due funzioni?

Nella direzione commerciale è bello poter misurare esattamente il risultato del proprio sforzo, allo stesso tempo nella direzione marketing si impostano le premesse affinché il direttore commerciale possa fare poi i numeri. Avendole vissute sempre coese, saldate, direi che per me è difficile distinguerle.

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