Parla di indipendenza e di autogestione come conditio sine qua non del proprio mandato e come grande stimolo nel lavoro Stefano Baschiera, 41 anni, da febbraio amministratore delegato della Moët Hennessy Italia (gruppo LVMH). La sua formazione professionale ha avuto inizio alla Procter & Gamble, dove ha lavorato dal 1983 al 1988 come product manager. E’ approdato, poi, alla Scott Paper Company (1988) come direttore marketing & vendite ed infine è passato nel ’96 a far parte del gruppo Moët Hennessy. Sono diversi gli incarichi ricoperti da Baschiera in questi ultimi anni all’interno del gruppo: direttore commerciale, direttore generale e, da ultimo, la recente nomina che lo ha posto a capo di Moët Hennessy Italia.
Nei suoi passaggi ci sono sempre multinazionali. E’ un caso o è una scelta?
Una scelta nata dal caso: la decisione iniziale di lavorare per P&G ha fatto sì che il mio profilo fosse più appetibile per i grandi gruppi internazionali.
Come, per esempio, per la Moët Hennessy.
Quella è stata una scelta della quale sono molto contento. Volevo una cosa completamente differente dalle precedenti esperienze. Ho preferito il gruppo francese Lvmh. Un gruppo che mi desse più autonomia.
In che modo?
Lo stile di management transalpino è molto differente rispetto a quello che avevo conosciuto nelle aziende americane. Ci permette di correre dei rischi e di sopportarne direttamente le conseguenze. Questo significa essere veramente imprenditori. Lvmh è un grande gruppo composto da differenti aziende di medie dimensioni tutte gestite da persone che vivono l’azienda come se fosse propria Le diverse maisons del gruppo sono completamente autonome. Questa è la grande differenza con i gruppi di stampo americano.
Come sono strutturate le varie funzioni all’interno del gruppo?
Il mondo Moët Hennessy è costituito di regioni che sono: Usa, South America, Europa, Asia, Giappone e Francia. Ogni funzione riporta all’amministratore delegato del paese in cui opera e trasversalmente alla funzione centrale della regione. Quest’ultima a sua volta riporta alla Moët Hennessy mondo.
Lei parla di autonomia della Moët Hennessy. Cosa contraddistingue questa società come appartenente al gruppo Lvmh?
La caratteristica fondamentale è la gente: diversa, ma con valori, fini e regole comuni. Per esempio da noi coabitano in modo armonico profili molto differenti, come quello dell’enologo, e quello del manager p&l oriented.
Quali mezzi utilizza Lvmh per potenziare la motivazione dei suoi manager e delle sue risorse?
La mobilità interna, proprio per sviluppare le competenze. Il manager del gruppo ha poi tante possibilità di scelta sia rimanendo nel proprio brand sia cambiando.
E lei che strumenti impiega per coinvolgere i suoi collaboratori?
La cosa più bella è sempre quando si può dare a un collaboratore l’opportunità di fare qualcosa di più e promuoverlo.
Personalmente stimolo il mio staff seguendo cinque concetti fondamentali: avere spirito d’équipe che significa compatibilità fra le persone che appartengono a diverse funzioni aziendali; avere senso di responsabilità personale inteso secondo l’accezione latina del termine e quindi coerenza rispetto all’obiettivo; avere un grande impegno, e questo va di pari passo con la passione per quello che si fa; essere competenti nella propria mansione. Infine credo nell’autonomia; non intesa come libertà di fare quello che si vuole ma come capacità di sapersi gestire.
Quali sono i fattori critici di successo della sua vita professionale?
Ho sempre avuto la possibilità di amare molto quello che ho fatto. Penso che bisogna anche essere molto coerenti. Una volta fatta la scelta bisogna fissarsi un obiettivo e puntare a quello. Avere fortuna e sicuramente lavorare molto.
La sua formazione è partita da Procter & Gamble.
Sì. Quando sono uscito dall’università ho cominciato a lavorare nelle vendite come area manager poi nelle due funzioni di marketing e risorse umane. Per i nuovi assunti programmi di job rotation sono considerati effettivamente una tecnica fondamentale di formazione.
Cosa ha imparato in P&G?
Quello che ho imparato con loro è il metodo e il rigore che significa avere un obiettivo e lottare per raggiungerlo. Poi, dopo cinque anni, me ne sono andato.
Come mai?
Ho voluto avere un po’ più di libertà, correre rischi maggiori e avere più responsabilità. Sono passato alla Scott Paper Company: Erano gli anni della fusione fra la Kimberly Clark e la Scott Paper Company.
Ho avuto l’occasione di lavorare con consulenti e di vedere veramente come si faceva una grossa fusione: sia dal punto di vista finanziario, ma soprattutto dal punto di vista organizzativo. Ho anche scoperto quanto sia difficile fare una fusione, in particolare fare lavorare assieme gente che è sempre stata competitor e che quindi appartiene a due culture aziendali differenti.
Oggi si sente arrivato?
No, assolutamente no.
Quali sono le sue prospettive e le sue ambizioni per il futuro?
Amo molto dirigere aziende. Magari un giorno ne avrò una più importante in un altro paese, ma non mi vedo, per il momento, a fare qualcosa di non operativo.