E’ vero che “amministratore delegato”, “direttore generale”, “consigliere d’amministrazione”, “dirigente”, possono rappresentare, per un osservatore superficiale, termini sostanzialmente simili ma, in realtà, essi descrivono situazioni diverse, con una disciplina del tutto differente. In linea di principio è ormai generalmente ammesso che l’amministratore di società possa cumulare anche il rapporto di lavoro dipendente. Questo perché si tratta di due figure distinte che, pur potendo coesistere, non rinvengono il loro fondamento nel medesimo rapporto, formale e sostanziale. Il soggetto investito di una funzione di amministratore e, quindi, di organo di una società non perde, perciò solo, l’autonomia che gli è propria come soggetto di diritti individuali e, pertanto, può stabilire, anche con la stessa società che amministra, i più svariati rapporti giuridici, compreso quello di lavoro subordinato. E’ sufficiente, al riguardo, che l’amministratore sia soggetto alle direttive ed al controllo di una qualsiasi entità sociale come, in primo luogo, il consiglio di amministrazione. Non a caso la cumulabilità è esclusa quando si tratti di amministratore unico il quale goda, pertanto, di una posizione di sovranità tale da consentirgli il controllo delle delibere assembleari così da sostanziare un’identificazione dell’attività del medesimo con quella dell’imprenditore, incompatibile con quella del lavoratore. L’indistinguibilità ontologica delle attività espletabili come amministratore delegato o come dirigente fa sì che non basti neppure la formale attribuzione, all’amministratore, della veste di dipendente: occorre che quella distinzione sia prefissata ed attuata in concreto. Ed allora è il consiglio di amministrazione – o comunque l’imprenditore in senso lato – che deve stabilire, in concreto, quale attività debba essere esplicata nella condizione di dipendente e quale in veste di amministratore. Sul piano dei principi, pertanto, non sono riscontrabili soverchi problemi dato che l’astratta compatibilità tra la carica di amministratore e dipendente viene riconosciuta da tutti. Il problema, tuttavia, si complica allorché si scende nel caso concreto verificando la singola situazione. La sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato va stabilita accertando l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti il rapporto di amministrazione, in posizione di subordinazione, sia pure nelle forme peculiari compatibili con la natura dirigenziale delle mansioni esercitate.
Ciò che conta è che il dirigente risulti svolgere attività diverse ed ulteriori, sul piano oggettivo, rispetto a quelle caratteristiche della sua posizione di amministratore e, al contempo, che tali funzioni siano esplicate, sotto il profilo soggettivo, in una situazione di assoggettamento alle direttive ed al controllo strategico dell’imprenditore ovvero dell’organo deputato all’indirizzo strategico della società. Una volta ammesso il principio che l’amministratore possa essere anche dipendente bisogna poi verificare ogni diversa e specifica situazione al fine di evidenziare che il rapporto di dipendenza non è esclusivamente un nomen iuris, senza un concreto contenuto.
Ciò che rileverà, in estrema sintesi, sarà la circostanza che il conferimento della qualifica di lavoratore subordinato, derivi da una decisione adottata da parte dei competenti organi sociali, sempre in grado di controllarne l’operato e di intervenire, facendo valere i proprio poteri, nel caso di dissenso. Sarà poi necessario che il consiglio d’amministrazione determini chiaramente una distinzione tra le attività espletate in qualità di amministratore e di quelle nella veste dirigenziale. Tra le prime rientreranno ad esempio attività di natura strategica o delegate, di ordinaria e/o straordinaria amministrazione, mentre, alle seconde, saranno riconducibili funzioni esecutive di attuazione delle direttive del consiglio, seppur svolte con la più ampia autonomia e discrezionalità.